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Recensioni Album 2020

Tutte le recensioni degli album del 2020, aggiornata costantemente con gli ultimi ascolti. Ordinata per voto, dal migliore al peggiore, ovviamente secondo il mio modesto parere.

9/10

Mac Miller – Circles

Nel caso dell’album postumo di Mac Miller, completato dal collaboratore Jon Brion, è difficile resistere alla tentazione di far prevalere il contesto sull’opera in senso stretto. D’altronde, si tratta di un rapper classe 1992, morto per droga a 26 anni, che non ha mai nascosto i suoi abusi di sostanze e la dura lotta con la depressione. La sua storia, tragica ma purtroppo comune a tanti artisti hip-hop, nasconde però una sensibilità unica, che Miller ha messo a fuoco solo con questo album postumo. Ridurre “Circles” a un coccodrillo è poco generoso, perché indipendentemente dal contesto funebre in cui nasce è un grande esempio di emotività pop-rap e neo-soul. (la mia recensione estesa su OndaRock)


8/10

Nick Kozik – Subnivean

Subnivean” è un termine utilizzato per definire l’ambiente di vita sotto la coltre nevosa, scelto da alcuni animali per proteggersi dai predatori e trovare riparo dal freddo invernale. Né vita né morte, è una situazione estrema di isolamento, dettata da condizioni disperate. Indubbiamente, ha una sua componente evocativa, che suggerisce percezioni smussate e intorpidite, da completare con l’immaginazione. È un titolo perfetto per un ricercato, elegante album che dosa luci e ombre, concreto e astratto, alieno e umano in 37 minuti di musica evocativa. Quando fuori la temperatura cala sotto lo zero, quindi, rifugiatevi anche voi: in cerca di protezione, di calore, di suggestioni. (la mia recensione estesa su OndaRock)


Poppy – I Disagree

Facile arrivare alla fine dell’ascolto assai confusi: è un album di forti contrasti, di sterzate improvvise e di colpi di scena assortiti. Anche inserita in una carriera a dir poco articolata, che vede la musicista affiancarsi alla youtuber e alla guida religiosa (!), è una collezione di brani che stordisce. Lasciando sedimentare le impressioni, però, emerge una critica caustica a una pop culture in mano a youtuber e influencer, l’esplorazione del contrasto vivido fra il packaging impeccabile e il cuore marcio di un esasperato vivere per apparire, sfoggiare, conquistare. Che Poppy sia destinata a scomparire, dopo questo inaspettato accesso di disperazione e rabbia? Difficile da prevedere, ma se anche l’idea di questo kawaii-metal non trovasse conferme, a noi rimarrà un album come questo “I Disagree”, da mettere magari nella stessa playlist di assurdità crossover come Zeal And Ardor. (la mia recensione estesa su OndaRock)


Nero Di Marte – Immoto

Nell’affollato e spesso sterile contesto post-metal e death-metal, questi bolognesi trovano una via di fuga galattica, noir e tensiogena che supera le iniziali prove, ottimi esempi di un più canonico, labirintico, estremismo. Il contrasto fra le lunghe discese verso il silenzio e le fiammate metalliche, l’eclettismo canoro di uno Sean Worrell in stato di grazia, l’apporto ritmico instancabilmente vario del nuovo arrivato Giulio Galati e la flessibilità del bassista Andrea Burgio e Francesco D’Adamo consentono a “Immoto” di tentare una traiettoria personale. Persino l’imponente durata, un totale di 67 minuti, è giustificata dalla loro velenosa, nerissima creatività. (la mia recensione estesa su OndaRock)


Dan Deacon – Mystic Familiar

Si poteva pensare a Dan Deacon, pingue e pacioccone compositore di una futuristica e ipercinetica elettronica, come a un artista ormai lontano dal suo periodo creativo. Invece è tornato in grande forma, capace di rinverdire l’acido collage di un tempo che dominava i primi album, unendolo agli spunti orchestrali dell’ottimo America (’12). Domina la suite “Arp”, uno dei brani dell’anno. Un gradito ritorno.


7/10

Sepultura – Quadra

Il curioso svolgersi cronologico dell’album sembra un tentativo di emancipazione, almeno parziale, dal proprio ingombrante passato. Ne esce fuori un album che servirà ai fan per fare il punto di dove si trovano oggi i Sepultura, pronti a immaginarsi un presente senza necessariamente tradire il loro passato. Per tutti gli altri, è un bignami in stile “nelle precedenti puntate…”, utile per tornare in pari con un’avventura musicale che sembra ancora lontana dal doversi concludere. Nota di merito per il produttore Jens Bogren. (la mia recensione estesa su OndaRock)


Eugenio In Via Di Gioia – Tsunami

Il gruppo torinese è un po’ dispersivo, ma questa raccolta è perfetta per metterne in mostra i punti di forza: una scrittura sbilenca, fra folk e pop, che più che un best of sembra un punto di partenza per la carriera. Il rischio di fare i simpaticoni, che condividono con i colleghi sanremesi Pinguini Tattici Nucleari, non deve comunque scoraggiare: facciamoci prendere dall’ottimismo, che le intuizioni richiamano persino gli Elii, toccando anche l’estetica degli Zen Circus.


6/10

Eminem – Music To Be Murdered By

I problemi di questo album numero undici non sono esattamente trascurabili. Alla sovrabbondanza della proposta si contrappone un dubbio banale ma lecito: e se di questi venti brani neanche uno rimanesse fra i suoi classici? Inoltre, come e più che in passato, si fa urgente immaginare un futuro per Slim Shady, che non può più affidarsi a scelte promozionali azzardate o rime disperatamente discutibili per sopravvivere in un panorama hip-hop che, va bene, forse lo riconosce ancora come il “rap god”, ma non per questo continuerà a venerarlo per sempre. Potrà continuare a proporre le stesse idee musicali, magari appena aggiornate per non sembrare troppo obsolete? Chissà. (la mia recensione estesa su OndaRock)


D Smoke – Black Habits

Vincitore dello show Netflix “Rhythm & Flow” nel 2019, è arrivato all’esordio con una tecnica e uno stile classici, anche se già ben maturi. Un album come questo avrebbe lasciato il segno nel 2010, ma un decennio di ritardo sulle spalle lo riduce a una curiosità per gli appassionati.


Ghali – DNA

Il primo lavoro, “Album”, è stato una delusione: non conservava molto delle peculiarità di Ghali, un trapper-rapper wannabe pop-star che ne usciva talmente annacquato, radio-friendly, smussato da apparire difficilmente riconoscibile. Più che l’esordio di Ghali, sembrava un succedaneo insaporito artificialmente. Acqua passata sotto i ponti ed eccoci al secondo lavoro, più coerente e meglio costruito, con almeno un singolo che potrebbe fare un successo clamoroso, “Good Times” (lo scrivo a inizio Marzo, vediamo se indovino) ma anche un parziale ritorno al cupo e fattissimo spirito di un tempo (“Giù x Terra”). Deleteri momenti di spudorato pop, bel feat con Tha Supreme, “Marymango”. Promosso con riserva.


Denzel Curry x Kenny Beats – UNLOCKED

Ufficialmente un Ep, collaborativo, è in sostanza una colonna sonora di un cortometraggio che rimesta l’hip-hop anni 90. Spigoloso, aggressivo, crudo nella produzione, vede Curry sgolarsi e dimenarsi con grande padronanza dei propri mezzi. Un esercizio di stile, di 18 minuti, ma fatto da fuoriclasse.


Loathe – I Let It In And It Took Everything

Metalcore non fa esattamente rima con sperimentazione, ma in questo caso la band inglese unisce Deftones (molto presenti) e un corazzato gusto melodico, che dialoga con lo shoegaze ma anche con certo prog-metal tipo Mastodon. Furbetto, ma godibile; sicuramente oltre la media del metalcore del post-2005.


5/10